Dopo aver fatto collezione di decreti, giorno dopo giorno, qualcuno inizia a pensare al dopo. Le limitazioni che (ad oggi) sicuramente si protrarranno sino alla Santa Pasqua potrebbero venire meno gradualmente. Nel mentre abbiamo spot su spot e un fiume di hashtag che giustamente dicono di restare a casa. Ora come ora, dettata la strategia della quarantena, giustamente occorre tenere duro e resistere sino a che i numeri non caleranno. Aspettiamo tutti l’ormai famoso picco, mentre la contabilità della crisi non ha ancora iniziato a registrare (ahimè) anche le perdite economiche.
Io credo che non sia per nulla sbagliato oggi iniziare a programmare il domani, soprattutto considerando che il vero problema che dovremo affrontare tutti sarà quello di ripartire per gradi, con la questione sanitaria non del tutto risolta. C’è poco da dire, non c’è bisogno di eminenti scienziati (in materia) per capire che se non arriva il vaccino o un medicinale di rapida cura, il virus rischia di farci compagnia ancora per qualche tempo. Forse il caldo dell’estate aiuterà a combatterlo, ma l’eventualità di una seconda ondata è tutt’altro che improbabile. Bene han fatto Lombardia e Veneto a costruire ospedali non del tutto provvisori, perché giustamente del doman (oggi) non v’è (proprio) certezza.
Il pericolo che si sta presentando è decisamente quello che una serrata così lunga rischi davvero di mietere vittime economiche (e dobbiamo essere crudamente realisti, forse anche di altro genere) nel nostro breve domani, se le cose non ripartiranno.
Pensiamo dunque all’emergenza, programmando però il domani! Non c’è alternativa e sicuramente (voglio essere ottimista, per una volta!) ci sarà una ripartenza della domanda e dell’offerta, ma proprio per le ragioni della “convivenza” a ritmi rallentati e su numeri sicuramente minori. Chi si aspetta un ON/OFF sbaglia purtroppo!
Pensiamo dunque a come poter coniugare le necessità della ripresa con le precauzioni sanitarie. Una ripartenza che prima di tutto deve farci pensare al fatto che in questi ultimi anni per colpa della burocrazia, del cuneo (palo) fiscale, del dumping asiatico e delle delocalizzazioni la nostra piccola, media e grande industria manifatturiera (vedi il settore sanitario) e meccanica, se ne sono andate dall’Italia (e, pensando a quella della piccola manifattura, dalla Valle d’Aosta in particolare).
Oggi ci siamo resi conto che così non va, perché proprio nel bisogno, queste realtà non ci sono più e guardando fuori ci siamo trovati le porte degli altri ben chiuse (in Europa in primis).