Per molti la misura del blocco dei licenziamenti, introdotta dal Decreto Cura Italia e poi via via prorogata sino al prossimo marzo, è sembrata una misura giusta e sacrosanta. Il persistere dell’incertezza sull’evoluzione della pandemia e della crisi economica ha poi fatto sì che la logica dominante della bonus economy portasse alla proroga della misura anche nei successivi provvedimenti.
Stiamo oggi parlando, secondo le stime dell’INPS, di circa 1,2 milioni di posti di lavoro a rischio quando il blocco verrà meno. Il tutto senza quantificarne costi diretti ed indiretti. Di fatto la misura ha congelato sine die quei rapporti di lavoro che, in condizioni normali, i datori di lavoro avrebbero potuto interrompere. Va detto senza dubbio che, da un punto di vista sociale, questa misura, insieme alla CIG per Covid-19, ha permesso di tutelare i lavoratori nel periodo di emergenza, rinviando però i tempi e le valutazioni concrete di cosa fare nel momento in cui questa sarebbe venuta meno.
Il blocco è di fatto intervenuto a gamba tesa creando, in più di una situazione, temporanee distorsioni sul mercato del lavoro. La diga costruita con il Decreto Cura Italia si è riempita giorno dopo giorno, alzando il proprio fronte ad ogni rinnovo. I dati citati in precedenza derivano dalle valutazioni INPS fatte sull’anno precedente relativamente alle cessazioni dei rapporti di lavoro nel periodo marzo-ottobre 2019 e 2020. Tuttavia, è bene considerare che quel dato (circa 1,2 milioni di unità) è relativo ad un periodo in cui lo stato di salute del mercato del lavoro era ben diverso da quello odierno. Al di là della complessità tipica del nostro mercato del lavoro le condizioni in cui questo si troverà quando il blocco dei licenziamenti verrà meno saranno ben diverse e soprattutto difficili.
Questa considerazione deve poi tenere conto di ulteriori due aspetti degni di nota. Il primo che, sempre secondo i dati INPS, dall’inizio dell’emergenza fino a dicembre i lavoratori per cui è stata richiesta la CIG (ordinaria, in deroga o i fondi di solidarietà) hanno superato la quota dei 6,7 milioni. Il secondo per cui circa 444 mila occupati sono venuti meno rispetto all’anno precedente a dicembre 2020. Due variabili che ci fanno ben capire quali saranno le dimensioni del problema.
La diga una volta aperta potrà determinare un effetto devastante sull’intero mercato sia in termini di perdita secca di posti di lavoro che di produttività e redditi, i cui tempi di assorbimento da parte dei vari settori economici colpiti saranno molto lunghi. A tal riguardo penso che nel prossimo Decreto c.d. “Ristori 5” troveremo una nuova proroga della misura del blocco dei licenziamenti, proprio perché non ci sono stati i tempi (e i modi) per trovare una ben che minima soluzione (per non parlare delle risorse) alle conseguenze del futuro “sblocco”. Nel prossimo breve periodo però qualcosa andrà fatto, perché questa diga, prima o poi, dovrà essere aperta.
Rinnovo, in conclusione, tutte le mie perplessità sull’aver prorogato questa misura per così tanto tempo caricando (sine die) non soltanto sul mercato del lavoro, bensì soprattutto sui lavoratori stessi, le imprese e (non ultime) le casse pubbliche un costo notevole che rischia di avere effetti tipici di una cruda alluvione.