Concordo con quanti stanno dicendo e scrivendo che la caduta del colosso Evergrande non è la nuova Lehman Brothers del 2023. Le cause sono differenti, gli attori principali pure. Ma vero è che quanto sta succedendo tra Cina e USA, passando per paradisi fiscali quali le Cayman e le British Virgin Islands (per citarne due), credo rappresenti soltanto l’inizio di una crisi o di un riassetto del modello cinese di sviluppo (e dominio) economico di oggi.
Come ha scritto il gen. Paolo Costantini qualche giorno fa via Istituto Gino Germani (rif. relazione presentata al convegno Le strategie di ingerenza e influenza di potere straniere in Italia: gli approcci russo e cinese a confronto, Senato della Repubblica, 19 luglio 2023), la Cina nel perseguire i propri piani di crescita economica (e autonomia tecnologica) ha posto in essere in questi anni (tra le altre cose) una strategia di acquisizioni di società straniere tramite società veicolo di fatto a controllo governativo.
È senza dubbio banale dire che il “capitalismo cinese” è per sua natura direttamente collegato non soltanto agli obiettivi strategici della propria pianificazione, bensì anche e soprattutto al clima interno al proprio regime, nonché ai risultati ed alle tensioni che lo Stato (cinese) ha con le altre realtà operanti nelle sue sfere di influenza geografica ed economica.
Il dedalo di società, controllate e controllanti, che costituiscono il “grande gioco di carta” dell’economia cinese potrebbe avere (in questa fase congiunturale), come primo tassello di un domino molto più complesso, proprio quello che “sta dietro” ad Evergrande.
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