Draghi ha scelto di non voler restare, almeno così a me pare. L’ho percepito dall’inizio del suo discorso di ieri e dal can can che si è susseguito tra tweet, post e dichiarazioni varie. Addossare la colpa agli altri, allargando più o meno dichiaratamente il perimetro dei colpevoli è stata la tattica della giornata. Me lo sono chiesto e me lo chiedo ancora, al di là di come la si pensi e delle singole simpatie, se ha senso che chi è alla guida di un gruppo (già di suo fin troppo composito) faccia un discorso che tende ad escludere qualcuno.
Dopo la fiducia incassata sul DL Aiuti non si poteva andare avanti senza M5S facendo una verifica di maggioranza, come tra l’altro aveva chiesto giustamente Berlusconi? Un dubbio che non è venuto in mente soltanto al sottoscritto, lo ha anche ben scritto il Presidente della Fondazione Einaudi avv.to Benedetto in un tweet serale a cui rimando. Una domanda lecita per una risposta concreta.
Sarà perché l’autunno si prospetta caldo, sarà per suscettibilità tecnocratica, sarà perché ha altre ambizioni ma credo che Mario Draghi per primo abbia scelto di non restare. Ecco che così si è innestata la strategia che ha poi avuto come perno centrale la risoluzione di Casini (un nome, una garanzia). Tutto qua.
Non l’ho mai nascosto e non lo rinnegherò, sono stato senza dubbio contento dell’avvento di Mario Draghi alla guida di Palazzo Chigi, ma quello di ieri è stato un discorso (e una manovra) degna di un politicante qualunque che cerca di mettere il cerino in mano agli altri.
Ecco, su questo la mia simpatia si è fermata a quando è sceso in campo perché sul resto qualche dubbio oggi mi resta.