Come ho detto nel corso del dibattimento in Consiglio Valle di mercoledì scorso che ha poi portato all’adozione della tanto contestata proposta di legge n. 1/2020 (PDL 1), credo fortemente che l’esercizio dell’Autonomia (e delle sue prerogative) costituisca in sé l’esercizio di Responsabilità. Come è avvenuto in questo caso, la scelta di voler normare (finalmente) le modalità di gestione e relativa applicazione, su base locale, delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica, non rappresenta soltanto la volontà di esercitare la propria Autonomia, bensì anche e soprattutto la scelta di assumersi responsabilità proprie e non derivate, come sino ad oggi avvenuto.
Tralascerò da questo mio scritto ogni considerazione su veleni e sterili critiche volti a banalizzare quanto avvenuto se non tediare l’universo mondo con una mirata volontà politica di nascondere sotto un tappetto rosso quanto successo in Aula.
Qualcuno ha fatto notare, in parole anche semplici, come l’approvazione della PDL 1 rappresenti il fatto che finalmente il Consiglio Valle ha battuto un colpo. Non è una considerazione banale, né da sottovalutare. Nel comune sentire di tanti valdostani, infatti, era da tempo che il massimo organo democratico de chez nous non esercitava una volontà autonoma, seppur in molti ambiti derivata, che dovrebbe essere parte tipica della sua attività caratteristica.
Quanto approvato vede la sua ispirazione in un analogo provvedimento già adottato dalla Provincia Autonoma di Bolzano, spesso citata ad esempio, quasi a sogno. Quel provvedimento arrivò nel momento opportuno e aveva come fine pratico quello di regolamentare la ripartenza delle attività del Tirolo del Sud dopo la prima fase dell’emergenza. Questo provvedimento, invece (come abbiamo tra l’altro più volte sottolineato), si pone un duplice obiettivo, tutt’altro che a breve termine, ovvero quello di colmare il vuoto normativo sino ad oggi avuto con una “cornice propria” volta a regolare la gestione dell’emergenza, nonché permettere, con superiore forza (rispetto ad oggi), la declinazione delle misure di contenimento al contagio in virtù delle nostre caratteristiche (siano essere numeriche, territoriali, etc.) se non soprattutto anche poter anticipare ritardi che molto sono costati alla nostra Regione in termine di ripartenza.
La reazione dello Stato, sorta nel mezzo della diatriba relativa alla mancata classificazione della nostra Regione in zona arancione rispetto ai dati trasmessi, è stata forte e dalle dichiarazioni dei suoi massimi esponenti anche molto dura. Passi la paventata scure (scontata) dell’impugnativa (necessariamente successiva alla pubblicazione della legge stessa, ditelo al Ministro!), ma quel che davvero poteva essere risparmiato sono state le velate minacce rispetto a quanto lo Stato avrebbe dato alla Valle d’Aosta nel corso dell’emergenza. Si badi bene, risorse che spettano e spetteranno a tutte le regioni italiane nella normale e consueta modalità di assegnazione che lo Stato riterrà tempo per tempo necessaria, nessun regalo! Anche se fosse, queste sono state parole forti come da tempo non si sentivano, condite poi dal leitmotiv della “mancata leale collaborazione” tra lo Stato centrale e una sua Regione Autonoma.
Il principio della leale collaborazione è oggi sancito dall’articolo 120 della nostra Costituzione ed è spesso richiamato in varie sentenze della Massima Corte (Costituzionale). Un principio che spesso lo Stato ha utilizzato tra l’altro per giustificare, in caso per l’appunto di mancato raggiungimento dell’intesa, l’assunzione unilaterale di atti. Ma in questo caso il richiamo al principio della “leale collaborazione” è stato utilizzato per contestare l’adozione di una norma che per alcuni massimi esponenti dell’attuale governo nazionale pare essere un atto unilaterale da parte della Regione Autonoma contro le attuali disposizioni decretizie dello Stato centrale.
Ma è davvero così? È bene considerare che quanto stiamo vivendo oggi non è certo una novità, così come fu invece a marzo, nel corso della prima fase di questa emergenza. Allo stesso modo, ben consci che il carattere emergenziale della situazione necessiti azioni e misure emergenziali, tuttavia resta il fatto che l’attuale modello organizzativo che lo Stato centrale si è dato pone sé stesso, principalmente nella figura del Presidente del Consiglio (che nel modello italiano non ha certo i poteri tipici di un primo ministro o di un presidente tout court), al centro della gestione con relative incombenze sul livello regionale. Questo fa si che il rapporto e l’intesa con le Regioni resti valido (anche e soprattutto per le materie concorrenti) e presente nelle varie decisioni assunte, in quanto ad oggi il modello istituzionale dello Stato stesso non è stato modificato (nella forma almeno!). Questo impone, pertanto, che vi sia la necessità di trovare le giuste intese sulle misure da adottare, in particolare considerando la scelta di adoperare lo strumento del Decreto in maniera reiterata e costante da cadenza ormai annuale.
In tal senso il principio della leale collaborazione, pertanto, dovrebbe essere costantemente perseguito da parte in primis dello Stato al fine di limitare, se non ridurre al minimo, contrasti con il livello regionale che altro non fanno che generare confusione e malumore sulle realtà maggiormente colpite da questa emergenza. Ad oggi però, così non sembra essere per diretta ammissione degli stessi Presidenti di Regione, siano esse ordinarie o autonome.
In ultimo, perché non può esserci emergenza che giustifichi il sovvertimento delle strutture repubblicane dello Stato in altre forme ben più pericolose, è bene considerare che la storia e i meccanismi amministrativi, consolidati nel tempo, delle Regioni e delle Provincie Autonome pongono queste, proprio come nel nostro caso, in posizione ancor più paritaria nei confronti della controparte statale. Questo non vuol certo dire che tali realtà devono beneficiare di scelte preferenziali rispetto a quelle ordinarie, ma proprio per il fatto che possiedono maggior autonomia (e quindi responsabilità rispetto alle altre) necessitano di meccanismi di intesa esercitati costantemente e con modalità ben diverse da quanto sino ad oggi avvenuto (non soltanto in questa fase emergenziale).
Non può, infatti, essere certo lo strumento della minaccia che permetterà allo Stato centrale un governo migliore delle cose, anche se pronunciata nei confronti della più piccola realtà regionale dello Stato italiano.
Tutte le altre regioni dovrebbero prestare attenzione a quel che è avvenuto in Valle e sulle prossime tappe di un percorso difficile, non soltanto sul fronte sanitario, perché a Roma qualcuno ha intenzione, tra le varie cose, di limitare in virtù della necessità contingente l’esercizio dell’autonomia che i padri costituenti e le comunità interessate hanno costruito con così tanta attenzione e sacrificio in anni tutt’altro che facili.